Domicilio digitale ai fini processuali: la PEC indicata deve essere censita nel registro ReGindE

Domicilio digitale ai fini processuali: la PEC indicata deve essere censita nel registro ReGindE
16 Luglio 2021: Domicilio digitale ai fini processuali: la PEC indicata deve essere censita nel registro ReGindE 16 Luglio 2021

La Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi su una domanda di indennità di anzianità, ex art. 13 della l. n. 70/1975, con la sentenza n. 12345 del 10 maggio 2021, ha avuto inoltre modo di ribadire alcuni importanti principi in tema di domicilio digitale.

IL FATTO. La Corte d’appello, pronunciando sull’impugnazione promossa dall’ente pubblico, alle cui dipendenze aveva prestato servizio Tizia, aveva accolto la domanda di quest’ultima volta ad ottenere l’indennità di anzianità posseduta al momento del collocamento in quiescenza.

In particolare, la Corte d’appello aveva respinto l’eccezione di inammissibilità del gravame per tardività, ritenendo che, a fronte della costituzione in giudizio dell’ente in primo grado a mezzo dei propri funzionari, e della mancanza di elezione di domicilio da parte dei predetti nel circondario del Tribunale adito, prevalesse, rispetto ad una notifica presso la Cancelleria, l’indicazione da parte dei detti funzionari, al momento della costituzione in giudizio, del proprio indirizzo di posta elettronica (“posta-certificata.pec.aruba.it”), cui solo dovevano essere effettuate le notifiche ai fini del decorso del termine breve.

Avverso la predetta sentenza di secondo grado, ha ricorso in Cassazione l’ente con tre motivi di impugnazione. Tizia, a sua volta, ha resistito con controricorso e formulato altresì ricorso incidentale affidato a tre motivi.

In particolare, con il secondo motivo di ricorso incidentale, la ricorrente ha lamentato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ha osservato, infatti, che la Corte, senza disporre di alcun accertamento istruttorio, aveva ritenuto che l’asserito indirizzo p.e.c. “posta-certificata.pec.aruba.it”, fosse riferibile ai difensori dell’ente, laddove, invece, come dimostrato in causa, la p.e.c. ufficiale dell’ente era diversa, come si evinceva non solo dal sito internet dell’ente ma anche da quello ‘www.indice.gov.it’.

LA DECISIONE. La Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso incidentale, dichiarando l’inammissibilità dell’appello per tardività e ha accolto il secondo motivo di ricorso incidentale. 

In particolare, ha, infatti, evidenziato che “l’indicata pec ‘posta-certificata.pec.aruba.it’ non poteva valere ad indicare un ‘domicilio digitale’ ai sensi di quanto previsto da Cass. Sez. Un., 20.6.2012, n. 10143, considerato che vi era una stata una espressa (ancorché non corretta) elezione di domicilio presso la sede legale dell’ente e che il suddetto indirizzo (peraltro, come accertato in causa, non corrispondente a quello Ufficiale dell’Ente), era stato indicato al solo fine di ricevere comunicazioni”.

La Suprema Corte ha avuto modo quindi di ribadire che ai fini processuali “deve essere utilizzato quale ‘domicilio digitale’ qualificato ai fini processuali e idoneo a garantire l’organizzazione preordinata all’effettiva difeso solo l’indirizzo pec censito nel registro generale degli indirizzi di cui al D.M. n. 44/2011, art. 7 (REGINDE) ovvero nel registro delle pp.aa. di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 12”.

Nel caso di specie, quindi, “non è idonea a determinare la decorrenza del termine breve per l’appello la notificazione della sentenza effettuata ad un indirizzo diverso da quello inserito nel REGINDE e comunque non risultante dai pubblici elenchi, ancorché indicato dal difensore nell’atto processuale”.

La Corte ha, quindi, accolto i primi due motivi di ricorso incidentale, accolto il ricorso principale, e cassato la sentenza impugnata senza rinvio.

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